Siamo soliti associare la commedia a momenti di leggerezza, una parentesi spensierata in cui il sorriso prende il posto del pensiero. Ma πΌπ π£ππππππ πππ ππππΜ ci mostra che il teatro comico può diventare strumento potente per interrogarsi, scuotere, smuovere. La pièce, interpretata da Maurizio Casagrande e Francesco Velonà, parte da una premessa ironica, quasi surreale, per affrontare temi che riguardano tutti: la distanza tra generazioni, l’accettazione dei valori altrui, l’urgenza di un cambiamento nel nostro rapporto con l’ambiente.
La scenografia dello spettacolo, un’isola fatta di plastica, tanto suggestiva quanto simbolica, non ha bisogno di essere spiegata. È lì che padre e figlio si ritrovano naufraghi, fisicamente e simbolicamente. Il conflitto generazionale tra le due figure che, nonostante si trovino in una situazione estrema non riescono a superare le loro divergenze ideologiche, è il cuore pulsante dello spettacolo. Il padre, incarnazione dell’uomo adulto, pragmatico e conservatore, è costretto a confrontarsi con il figlio, giovane idealista che ha già intuito che le certezze paterne non bastano più. L’ambiente intorno a loro si sgretola lentamente, mentre il dialogo tra i due, fatto di scontri, incomprensioni e frustrazioni, diventa il vero terreno di salvezza o di resa.
Casagrande domina la scena con una performance che attraversa diversi livelli emotivi, restituendo un personaggio complesso, umano, pieno di contraddizioni. Il suo passaggio dal registro comico a quello più introspettivo avviene con naturalezza, senza forzature. Il pubblico ride, sì, ma si sorprende subito dopo a trattenere il fiato, a riflettere, a sentire. Accanto a lui, Francesco Velonà dà voce a una generazione che chiede ascolto, che non si accontenta più delle risposte di comodo. Il suo personaggio è teso, in bilico, animato da un’urgenza che non trova spazio nelle parole del padre. Ma non c’è odio, solo la frustrazione di chi cerca un varco per farsi capire. La relazione tra i due non è uno scontro tra opposti, ma un tentativo doloroso di incontro.
A emergere, con forza poetica, è la figura della sirena. Non un’illusione mitologica, ma una presenza reale e necessaria, simbolo di ciò che rischiamo di perdere. La sua voce, intensa, attraversa il silenzio e si fa richiamo profondo. La performance vocale dell’attrice è un’emozione che amplifica il messaggio ecologista dello spettacolo.
Il mondo che si costruisce sulla scena è sospeso tra il reale e l’immaginario, ma in ogni gesto, in ogni battuta, c’è una verità che ci riguarda. Anche le risate, numerose, non alleggeriscono il senso delle cose: lo rendono accessibile, lo accompagnano. Il pubblico ride, poi tace. Pensa. E infine applauso, lungo, convinto. Perché si è sentito toccato, coinvolto. Perché quella storia è anche la sua.
πΌπ π£ππππππ πππ ππππΜ è un percorso di trasformazione, dentro e fuori la scena. Un passaggio da una condizione di immobilità, personale, sociale, ambientale, a una possibilità di cambiamento. Non offre risposte, ma domande necessarie. Ed è questo che lo rende così potente.
Lo spettacolo ha chiuso una stagione teatrale intensa, fatta di scelte coraggiose e proposte capaci di parlare al cuore del pubblico. Con questo ultimo appuntamento, AMA Calabria non solo conclude un percorso, ma conferma una direzione artistica ben precisa: portare in scena contenuti che lasciano il segno, che generano dialogo, che si intrecciano con il presente.
Francescantonio Pollice, alla guida della rassegna, ha costruito un progetto culturale che ha saputo tenere insieme tradizione e sguardo sul futuro. Un teatro vivo, che riflette, che si mette in discussione, che prova a cambiare, un po' come i personaggi di questa storia.
Lorena Pallotta per Area Teatro - Catanzaro Centro