Dopo 28 anni di onorata permanenza presso la città di Catanzaro (facciamo 27 se consideriamo l’anno passato oltralpe) pochissime volte mi sono soffermata ad osservare o ad ammirare i monumenti, le piazze e i palazzi intorno a me, pur vedendoli e vivendoli quotidianamente (o forse proprio per questo motivo).
Sabato scorso però, ho avuto l’occasione di fare una “passeggiata nella storia”, tra le diverse epoche che nel corso del tempo si sono stratificate sui colli di Catanzaro, visitando e guardando sotto un’altra luce tutto ciò da cui sono costantemente circondata.
Il nutrito gruppo con cui sono partita all’avventura, animato come me dalla curiosità e dalla sete di scoperta, è stato sapientemente guidato da Angela Rubino dell’associazione CulturAttiva. L’associazione nasce nel 2016 con l’obiettivo di promuovere il patrimonio culturale e materiale della Calabria, realizzando attività che ne favoriscano la conoscenza come visite guidate, rassegne culturali, mostre fotografiche e tanto altro ancora.
Il nostro giro è partito dalla chiesa dell’Osservanza, nella quale sono custodite opere di valore inestimabile, come la “Madonna delle Grazie” di Antonello Gagini (lo stesso scultore della “Pietà”, esposta nella chiesa di Soverato superiore) o il crocifisso ligneo all’entrata, unico nel suo genere e con un alto valore artistico e simbolico, realizzato verso la metà o la fine del XVI secolo da Fra’ Giovanni da Reggio. Il crocifisso presenta una posizione insolita, in quanto non ha le braccia attaccate alla croce e sembra protendersi verso il basso, quasi ad offrire amorevolmente sé stesso a chi lo guarda.
Pochi metri dopo, in piazza Stocco, scopriamo che il monumento dedicato all’omonimo generale garibaldino, intento a lacerare un giornale dopo aver appreso di una ribellione domata in Sicilia (e anche qui, nonostante sia costantemente sotto gli occhi di tutti, chi aveva mai pensato a capire cosa raffigurasse!) era in realtà originariamente situato di fronte al Cavatore, e spostato, con grande disappunto dei catanzaresi, in quella zona solo nel 1939. Qualcuno ha anche suggerito, in considerazione del senso del traffico cittadino, di ruotare la statua di 180 gradi in modo che eviti di dare le spalle a chi entra in città.
Siamo giunti poi in piazza Matteotti e qui, dopo un’attenta analisi del gruppo scultoreo ad opera di Michele Guerrisi situato di fronte alla Corte D’Appello e composto da 5 personaggi (originariamente erano sei, durante i bombardamenti del 1943 è andata persa e mai più ripristinata la figura della “madre piangente” che cambia completamente il senso e il messaggio dell’opera), ho avuto la rivelazione più sconvolgente: Piazza Matteotti, il granito e il marmo che calpesto quotidianamente, alla quale ho sicuramente sempre prestato poca attenzione, non è composta da “pietre buttate a caso” (opinione edulcorata del catanzarese medio che si lamenta di tutto per partito preso) ma ha in realtà uno stile unico e ben definito.
La piazza è stata ideata dall’architetto Franco Zagari ispiratosi alle opere di Victor Vasarely, artista ungherese naturalizzato francese, considerato uno dei pionieri dell'Optical Art. Questa corrente artistica, nata negli Stati Uniti negli anni ’60 e affermatasi tra gli anni ’60 e ’70, si caratterizza per la creazione di illusioni ottiche e per il coinvolgimento attivo del fruitore nell’opera. Gli esponenti dell’Optical Art utilizzavano colori vivaci e forme geometriche diverse per dare un senso di movimento alle loro opere, suscitando una percezione dinamica e coinvolgente. Le opere di Vasarely, in particolare, sono celebri per la capacità di creare illusioni ottiche che trasformano lo spazio percepito dallo spettatore.
In questo contesto, Zagari ha applicato i principi dell’Optical Art al design urbano, come si può notare in questa piazza da lui progettata. Qui, il contrasto cromatico tra il travertino e il granito nero diventa protagonista: visto dall’alto, il disegno pavimentale evoca un senso di movimento e dinamismo che rimanda chiaramente agli ideali dell’Op Art. Camminandoci sopra, tuttavia, l’effetto si attenua, lasciando emergere l’armonia tra i materiali e lo spazio circostante.
Giungiamo poi di fronte al simbolo della città di Catanzaro, il Cavatore, scultura in bronzo scolpita dall’artista vibonese Giuseppe Rito (autore anche della Madonna dell’Assunta sul campanile del Duomo). La scultura, che raffigura un uomo muscoloso intento ad infrangere la roccia con il suo piccone, rappresenta un omaggio alla caparbietà dei catanzaresi ed è una celebrazione del lavoro umano. Negli anni ’70, dopo il tragico crollo della roccia sovrastante, a causa del quale perse tragicamente la vita una famiglia di origini siciliane, l’opera fu spostata in un’insenatura di Villa Margherita e ricollocata nel suo slot originario solo dopo 13 anni, in occasione della visita in città di Papa Giovanni Paolo II.
Al principio di Corso Mazzini io e il gruppo siamo ormai totalmente rapiti dai racconti e dalle spiegazioni di Angela, desiderosi di carpire altre curiosità sulla città che pensavamo di conoscere ma che in realtà non abbiamo mai capito. E le rivelazioni puntualmente arrivano, perché Angela ci racconta che in principio tutta la zona prima del corso era un’area degradata chiamata “Fhor’e porte” perché appunto la città era quella all’interno del perimetro delle mura cittadine, in cui in età normanna svettava il castello e tutti i quartieri intorno, delineato dalle 5 porte della città: Porta di Mare, Porta Sant’Agostino, Porta Castellana, Porta Pratica e Porta Stratò.
Ma non solo (e qui ho avuto la mia seconda rivelazione): in fine ‘800 la Città di Catanzaro dovette adeguarsi al nuovo piano regolatore regionale. È così che nacque Corso Mazzini e che la città fu totalmente stravolta: furono abbattuti e riadattati palazzi per lasciar spazio al nuovo rettilineo, ma la cosa più sconvolgente è che fu abbassato tutto il livello della città che era invece al piano dell’attuale entrata della Chiesa del San Giovanni (la scala fu una costruzione successiva); anche qui abbiamo avuto la prova-come se ce ne fosse ancora bisogno- di non esserci mai interessati veramente alla città, nessuno si è mai chiesto come mai le gallerie sotterranee del San Giovanni non siano poi così sotterranee?
La nostra visita è proseguita poi all’interno della chiesa di San Nicola (e sì, nel caso ve lo steste domandando, anche qui la scala è stata costruita successivamente per adeguare l’ingresso della chiesa al nuovo livello stradale). La chiesa, risalente al XIII secolo, rappresenta un'importante testimonianza dell'antico tessuto urbano di Catanzaro e conserva all'interno elementi originali, come le pareti in tufo e tracce di affreschi duecenteschi.
Tra le opere principali spicca l’affresco sul soffitto che narra i miracoli di San Nicola, santo noto per la sua generosità e protezione dei bambini e dei marinai. Il culto del santo unisce simbolicamente cattolici e ortodossi, riflettendo le origini bizantine di Catanzaro, gradualmente latinizzata con l’arrivo dei Normanni. La particolarità della chiesetta è che con cadenza regolare ancora oggi viene celebrata la messa con il rito ortodosso.
Siamo stati poi indirizzati verso la chiesa di Sant’Omobono in stile romanico-normanno, la più antica e meglio conservata di Catanzaro, testimonianza del tessuto medievale della città. La chiesa fu usata durante la guerra come magazzino per le munizioni e riconsacrata solo nel 2002.
Il tour si è concluso alla scoperta della storia di Via Case Arse e del Complesso Monumentale del San Giovanni dove Angela ci ha fatto immergere nella storia di Enrichetta Ruffo e Antonio Centelles, personaggio storico particolare che ha segnato la storia di catanzaro e della calabria. Abbiamo scoperto anche che il castello normanno nell’800 è stato completamente distrutto, di originale resta solo parte del muro di cinta e la base della torre (la parte superiore è un rifacimento ottocentesco).
Dopo le due ore passate a guardare la città con occhi nuovi, il mio sopito senso di appartenenza sicuramente si è destato; tutto il gruppo ha terminato il tour con la consapevolezza che Catanzaro è una città dai mille volti: ogni angolo è il riflesso di epoche passate, di gente che come noi ha condotto qui la sua esistenza, fondendosi negli eventi e nella storia tanto da essere “la città che siamo diventati”.
 
Anna Maria Palaia