L’evento espositivo fa parte della rassegna “Le grandi mostre della fotografia dell’umano”


Gian Butturini è un narratore fotografico che ha dedicato la sua vita a una milizia difficile, significativa e intensa. Un frammento del percorso che ha compiuto in giro per il mondo, con sentimento di solidarietà verso chi soffre, chi è sfruttato, chi viene lasciato ai margini della società, arriva a Catanzaro in occasione della mostra fotografica “Tu interni…io libero”, allestita nello Spazio Coriolano Paparazzo della Cine Sud, di Francesco Mazza.

Sono trentacinque le opere esposte e tratte dall’ampio e storico reportage realizzato negli anni Settanta dallo straordinario fotografo “politico” nato a Brescia, dotato di inesauribile carica di creatività artistica, durante l’esperienza vissuta a Trieste al fianco del medico umanista Franco Basaglia, lo psichiatra che “slegò i matti” e che con le sue battaglie mediche e civili fece chiudere i manicomi grazie alla legge che dal 1978 porta il suo nome. Immagini in bianco e nero che hanno la forza di coinvolgere chi le osserva e invitano a riflettere su quanto è stato fatto e su quanto resta da fare nell’ambito dei disturbi mentali. Non foto estemporanee ma una ricerca durante la quale il fotoreporter visse lunghi periodi con l’équipe e i dirigenti.

In anteprima, a distanza di qualche ora dall’inaugurazione della mostra – in programma venerdì 8 novembre alle ore 17.30 – abbiamo incontrato Francesco Mazza, direttore artistico dello Spazio Coriolano Paparazzo: “I protagonisti degli scatti di Butturini sono per lo più i pazzi internati. La prima nota da mettere in evidenza è che da parte loro non ci arriva alcun rimprovero. Ogni qualvolta ci si sofferma sulla loro espressione non si ha mai la sensazione di avere di fronte qualcuno che ti vuole condannare perché stai dall’altra parte – ci spiega Mazza. Si avverte piuttosto una grande richiesta di aiuto. Passare in rassegna queste immagini è come sfogliare l’album di famiglia dove sono custoditi i ricordi del vissuto e di fratellanza di Gian Butturini che ha avuto la capacità di non privare della propria dignità i malati di mente. Li ha fotografati con pazienza e rispetto, ha fatto un passo indietro prima di scattare permettendo a chi sta davanti l’obiettivo di diventare più grande di chi guarda. Per questo non si prova pietà, ma ammirazione per i soggetti delle sue fotografie”. La particolarità delle sue narrazioni è dovuta al singolare approccio agli accadimenti, alle sue competenze in campo fotografico e cinematografico e ancor di più alla sua infinita sensibilità tanto da renderlo un modello da imitare ancora oggi.

La macchina fotografica per Gian Butturini non è un filtro che lo separa o lo protegge dalla realtà, ma uno strumento di vicinanza, uno strumento per esserci con tutto sé stesso. Da parte sua non c’è l’interesse a realizzare belle inquadrature, semmai lo sforzo a capire, a immedesimarsi in quel progetto in cui si è fatto coinvolgere e che pone al centro la persona e il suo bisogno di riappropriarsi degli spazi e del tempo che l’internamento aveva brutalmente sottratto a ogni degente. Gli “errori” tecnici sono compensati dalla partecipazione emotiva dell’autore: “Non c’è nessuna ricerca estetica. Le fotografie sono storte, scure, tecnicamente “sbagliate” secondo alcuni canoni imposti dalla fotografia. Tutto ciò attribuisce maggiore forza comunicativa al lavoro. Quello che viene messo in risalto è il contenuto. Il fotografo che parla non può essere così frainteso, non ci sono elementi di distrazione” spiega Mazza per definire lo sguardo di un reporter che non si è mai posto con l’atteggiamento da colonialista ma ha scelto di vivere quell’avventura attraversando la quotidianità insieme ai protagonisti. Il risultato è una fotografia di inclusione.
Perché l’approdo di Gian Butturini e della sua narrazione a Catanzaro? Per la sua inquieta volontà di scuotere le coscienze e di andare a vedere cosa c’è al di là della collina. In linea con la vocazione della rassegna “Le grandi mostre di fotografia dell’umano” ospitata nello Spazio Coriolano Paparazzo nell’arco di tutto il 2024 e che ha già toccato i temi della guerra, migrazioni, povertà e carceri.
Ora con il lavoro di Gian Butturini si vuole tentare di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del disagio mentale per poi chiudere entro fine anno con l’umano nella tragedia greca.
“Parlare con continuità dello stesso argomento in più appuntamenti attraverso l’uso di diversi strumenti, dalle immagini alla parola, credo possa servire a spargere semi nelle menti e nei cuori da far germogliare per combattere l’indifferenza” afferma Francesco Mazza che continua a mettere in campo azioni culturali di spessore attingendo alla consolidata esperienza di regista, produttore ed editore oltre che di fondatore della CineSud, una realtà imprenditoriale che oltre all’offerta commerciale, si contraddistingue per la missione culturale portata avanti con la promozione di workshop, laboratori e concorsi fotografici, incontri, dibattiti e mostre.
Lo stile sobrio e intimo di questo spazio incastrato tra i palazzi di Corso Mazzini permette di attraversare un’altra dimensione rispetto a quella che ha creato la civiltà dello spettacolo: “Questo luogo è percepito come un rifugio. Già per la sua organizzazione strutturale non consente al visitatore di immaginare cosa troverà e solamente dopo essersi addentrato scoprirà un ambiente confortevole in cui si viene calamitati dai libri, dalle fotografie e dalle immagini di cinema. Qui si tiene in vita il fuoco del dialogo restituendo senso alla parola e al confronto” racconta il direttore artistico della rassegna.
Tra frequentatori assidui, avventori di passaggio o semplicemente curiosi questo salotto accoglie i pensieri di tutti e il desiderio di condivisione di chi si ferma a riflettere e si ribella alle logiche di un sistema che con vari mezzi tenta di distrarre dai problemi reali di cui è afflitta la società contemporanea. Secondo Francesco Mazza la fotografia ha un compito ben preciso: “spiegare l’uomo all’uomo e l’uomo a sé stesso” contribuendo ad abbattere il muro dell’apatia e a recuperare l’originario atto dell’empatia.

L’iniziativa dedicata al tema della follia come condizione umana e alla lezione di Franco Basaglia costituisce un’altra preziosa tessera dell’affresco. Gian Butturini è il portavoce perfetto perché è stato un fotoreporter impegnato in prima linea e testimone attento alle cose del suo tempo. Sempre dalla parte degli ultimi contro le ingiustizie, le discriminazioni e le segregazioni ha lasciato un segno indelebile con la sua opera.
“Ha avuto un approccio alla fotografia solo ed esclusivamente per denunciare. Non ha mai fatto fotografie per altri scopi” prosegue Mazza che aveva già scelto di ospitare una mostra di Gian Butturini nel 2019, a Matera, nel contesto di una rassegna intitolata Coscienza dell’uomo. “Un fotografo meno noto rispetto altri come Henri Cartier-Bresson, Ansel Adams o Adam Smith, ma che merita di essere considerato più degli altri per le tracce di umanità che ha lasciato”.
Con Basaglia ha avuto un rapporto straordinario: gli ha permesso di stare accanto a lui dimostrando di avere grande fiducia. Si erano conosciuti alla Biennale di Venezia sul Cile all’indomani del golpe. Lo psichiatra lo coinvolge subito nel suo progetto rivoluzionario “Nei manicomi sono sempre finiti gli scarti della società, uomini usati e buttati come scorze di banana. Perché non vieni a Trieste. Potresti fare un buon lavoro: ti ciapi la macchina fotografica, le cineprese e ti vivi co noialtri”. Dal canto suo Butturini non si fece pregare e si trasferisce a Trieste. Qui i suoi compagni divennero gli internati che in quel momento si stavano riappropriando di un volto, di un nome, di un’identità. Il suo compito, a differenza di altri fotografi che avevano raccontato la realtà manicomiale, non è denunciare l’alienazione e la solitudine dei ricoverati bensì documentare una nuova pratica di liberazione, d’integrazione e di restituzione della dignità di queste persone. Ecco perché come si legge nello scritto di Gigliola Foschi, critica della fotografia, inserito nel reprint di “Tu interni…io libero” (edizione a cura dell’Associazione Gian Butturini fondata dai figli Tiziana e Marta) tra le sue foto non si trova niente che abbia il sapore dell’ufficialità: non ci sono le conferenze o le iniziative organizzate ma momenti di socialità e gesti di cura e gli eventi quotidiani.
Il tutto con un approccio fotografico partecipato, fresco, diretto, immediato dove a prevalere sono le atmosfere umane e gli sguardi.

Nella prefazione del libro Peppe Dell’Acqua, storico collaboratore di Basaglia e già direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste, scrive “Butturini col suo obiettivo svela presenze fino a quell’istante negate e inconsapevolmente restituisce tensioni, conflitti e accadimenti che sono nell’aria, dentro e fuori quei luoghi. I segni oggettivi del manicomio, nelle prime foto del libro, appaiono in tutta la loro drammaticità nel contrasto con gli sguardi, che non solo testimoniano la resistenza dell’umano ma anche cominciano a far emergere le singolari identità perdute”. Quando gli ex internati del manicomio di Trieste vengono trasferiti a Belluno, in una villa del Settecento presa in fitto, Butturini è lì per documentare questa nuova dimensione. “Gli ospiti camminano, escono, usano a proprio piacere lo spazio […] Ciascuno si riappropria del proprio tempo […] Butturini quasi fosse uno degli ospiti, non si ferma un attimo. Discute interroga, ascolta incuriosito storie che ora si possono raccontare, organizza piccole gite in città”.

IL DIBATTITO. L’opera di Gian Butturini oggi è un punto di partenza per reagire all’indifferenza e all’abbandono dei più fragili da parte di un sistema che tende a sviare l’attenzione dai problemi reali.
Per perseguire questo intento oltre all’evento espositivo sono previsti momento di dibattito per superare lo stigma delle malattie mentali. Saranno chiamati in causa famiglie, studiosi e politici con l’attenzione rivolta alle buone pratiche applicate all’estero in Germania e in alcune città del nord Italia. A supportare la riflessione ci saranno svariati contenuti dai documenti scritti ai video come quello con la testimonianza di Alda Merini o quello realizzato da Renzo Chini negli anni Settanta.
L’eredità di quel mondo migliore sognato e realizzato deve ancora essere conosciuta pienamente e messa a frutto per affrontare le nuove sfide del nostro tempo. Lo stesso Dell’Acqua sottolinea l’urgenza di tornare a distanza di mezzo secolo a riaprire l’argomento: “Nell’ultimo decennio una regressione vertiginosa: le persone che vivono l’esperienza del disturbo mentale tornano a rischiare trattamenti coercitivi, abbandoni, cancellazioni di fatto dei diritti conquistati. È il momento di denunciare con le parole chiare, anche se dolorose, le distorsioni, le regressioni e i crimini di pace che continuano ad accadere. […] Si torna a pensare senza più remore a internare.
È quanto mai urgente organizzarsi per tornare a liberare”.

All’inaugurazione della mostra, farà seguito un incontro che Francesco Mazza, direttore artistico della rassegna, ha focalizzato sulla inadeguatezza degli strumenti attualmente utilizzati per promuovere la cultura dell’accettazione del disturbo mentale. Sono previsti gli interventi di Marta Butturini, presidente dell’ “Associazione Gian Butturini” e Michele Gabriele Rossi, direttore del Dipartimento di salute mentale e delle dipendenze di Catanzaro. Dialogherà con loro Bonaventura Lazzaro, direttore del centro clinico “San Vitaliano”.

La mostra, curata dall’Associazione Gian Butturini in collaborazione con l’Archivio Basaglia, sarà visitabile gratuitamente fino al 22 novembre; da lunedì a venerdì dalle 16.30 alle 19.30; sabato e domenica solo su prenotazione scrivendo una mail a info@cinesud.it.

Anche le scuole avranno l’opportunità di accedere alla mostra prenotando una visita guidata anche nelle ore mattutine.

I PROSSIMI APPUNTAMENTI. Si sta lavorando per la realizzazione entro la fine dell’anno di un evento dedicato alla fotografia di Oliviero Toscani. Il prossimo appuntamento sarà con 50 fotografie di Giovanni Cabassi sul tema del tumore alla mammella di cui è stato realizzato anche un libro con la prefazione a cura di Fernanda Pivano e uno scritto di Veronesi. A dicembre arriveranno anche gli scatti di Tommaso Lepera sul teatro greco.

Rosita Mercatante per Area Teatro - Catanzaro Centro