Per combattere la cultura mafiosa occorre dare spazio ad una contro-narrazione del fenomeno criminale. Un racconto basato sulla cruda realtà che si ponga come valida alternativa ai prodotti cinematografici che, attraverso il potere seduttivo del male, influenzano le conoscenze del pubblico più giovane. È questa la missione che il magistrato Marisa Manzini affida a “Donne custodi, donne combattenti”, saggio pubblicato dalla casa editrice Rubbettino nel febbraio del 2022.
Un lavoro che mette nelle mani dei lettori uno strumento per scoprire, individuare e comprendere le manifestazioni della mafia calabrese, allo scopo di isolarla e combatterla. “Per ridimensionare e controllare la forte attrazione che i ragazzi provano per le figure negative delle serie televisive, è necessario formare e stimolare la loro capacità critica. Le storie vere riportate nel mio libro, come quella di Matteo Vinci ucciso dalla ‘ndrina Mancuso nel 2018, sono la testimonianza che la mafia è dispensatrice di violenza e morte”. Esordisce con queste parole Marisa Manzini, Sostituto Procuratore della Procura Generale di Catanzaro, rivolgendosi agli studenti del Liceo Classico “Pasquale Galluppi”, protagonisti di un incontro mattutino inserito nell’ampio progetto sul tema della legalità, articolato in svariate attività formative e di cui è referente il professore Gianluca Scalise.
Un dibattito – organizzato con la partecipazione della Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora” e dell'associazione “Universo Minori” - che si è sviluppato intorno alle figure femminili che l’autrice racconta all’interno del suo libro suddividendole in tipologie, in base al diverso atteggiamento assunto da parte di mogli e madri coinvolte nelle organizzazioni criminali. Ci sono donne “strumento” assoggettate al potere maschile, donne che trovano un proprio spazio di potere, divenendo complici dei crimini più atroci, donne che, dopo avere subito soprusi e violenze, si trasformano in combattenti e decidono di riacquistare la dignità e la libertà.
“Se la storia di Rossella Casini, studentessa di Firenze e vittima di lupara bianca, aiuta a riflettere sul fatto che chiunque si può imbattere in situazioni connesse alla ‘ndrangheta, quella di Silvana Mancuso è l’emblema del disconoscimento nel contesto della ‘ndrangheta dei valori della parità di genere. Calpesta la propria femminilità attribuendosi una mentalità maschile che le consentirebbe di essere rispettata all’interno di un sistema dove sono gli uomini a detenere il potere” spiega la Manzini sottolineando che la condizione femminile nelle famiglie mafiose ha subìto la subcultura maschilista nelle sue espressioni più oscure attraverso varie forme di violenza latente: le donne non possono decidere della propria vita, non sono economicamente indipendenti, non possono far applicare la legge della separazione e del divorzio. La donna continua ad essere subalterna all’uomo anche nei casi in cui assume il potere: in realtà serve a garantire continuità alle attività criminali quando c’è un vuoto a causa dell’assenza dei maschi di famiglia in carcere o latitanti.
Ci sono donne – si legge nel testo - che esercitano la pedagogia della vendetta e tengono comportamenti serventi nei confronti degli uomini di famiglia come Romana Mancuso, Rosaria Mancuso, Lucia Di Grillo, Giulia Tripodi. Sul fronte opposto ci sono le donne combattenti che conducono una battaglia contro i disvalori e gli stereotipi criminali. Come Lea Garofalo e sua figlia Denise, Giuseppina Pesce (che ha voluto liberare i suoi figli da un destino già segnato), Maria Concetta Facciola (della famiglia Bellocco di Rosarno), Sara Scarpulla.
Il magistrato Manzini si è soffermata sul valore della lotta collettiva per abbattere il muro dell’omertà e sul ruolo determinante delle scuole nella formazione delle coscienze: “Credo tanto in voi giovani. La mia generazione ha fallito come dimostrano le attività investigative. Noi siamo una generazione attratta dalle situazioni illecite ma non ci è stata data la possibilità di ascoltare le testimonianze di magistrati o di collaboratori di giustizia perché le scuole non si aprivano a queste iniziative. Voi avete maggiori consapevolezze sul fatto che avvicinarsi alla ’ndrangheta significa fare un danno alla società. Ripongo in voi grande speranza: sarete gli artefici del cambiamento, i funzionari pubblici e i professionisti che sapranno dire di no alle mafie”.
Spunti interessanti anche dagli interventi degli avvocati Francesco Iacopino e Luigi Combariati e dalla presidente della sezione di Catanzaro dell'associazione “Fidapa BPW Italy”, Rossella Barillari che si sono susseguiti dopo l’introduzione della Dirigente Scolastica Rosetta Falbo.