Un romanzo corale di formazione, di guerra e di amore. La storia di tre ragazzini che non salvano il mondo come per Elsa Morante, ma provano a salvarsi l’uno con l’altro. Un libro che si apre sullo scenario di una tragedia che ha mandato in pezzi l’Europa, in cui si muovono tre creature ospiti di un orfanotrofio, strappate ai loro affetti più cari, che si ritrovano sole ad affrontare il dramma dell’esistenza, il dolore e la contraddizione della vita che racchiude in sé il senso dello strappo, del dolore, della separazione, della fine.
“Cosa facevo io mentre durava la storia? Mi limitavo ad amare te”. Sono i versi del poeta bosniaco Izet Sarajli che vengono presi in prestito da Rosella Postorino per il titolo del suo ultimo libro, edito da Feltrinelli, candidato Premio Strega 2023, presentato sabato 15 aprile nella sala del Complesso Monumentale del San Giovanni nell’ambito della rassegna “Parole, voci e suoni di Calabra” curata dalla Biblioteca Comunale “F. De Nobili”.
Ad introdurre l’incontro è stata l’assessore alla Cultura del Comune di Catanzaro, Donatella Monteverdi, che ha ringraziato l’autrice per aver consegnato al pubblico una testimonianza che “dice tanto sul nostro Paese e sul suo modo di relazionarsi con il tema dell’accoglienza, che ci da la misura del legame tra genitori e figli, ci fa riflettere sul senso delle storie e della storia, sullo scorrere del tempo, sulla differenza tra storia e memoria”.
Ma da dove arriva questa suggestione? Inizia con questa domanda la conversazione tra Nunzio Belcaro e la scrittrice, editor per Einaudi Stile Libero, collaboratrice del quotidiano La Repubblica e del magazine Rolling Stone, originaria di Reggio Calabria, attualmente stabile a Roma, autrice di successi come “Le assaggiatrici”, Premio Campiello 2018, in cui come in “Mi limitavo ad amare te”, Rosella Postorino prende spunto da una storia vera, quella dell’assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf.
Omar, Danilo e Nada, tre ragazzi che avevano i suoi stessi gusti musicali, leggevano gli stessi fumetti, indossavano gli stessi jeans, tre persone della sua stessa età che hanno vissuto da vittime gli anni in cui nel cuore dell’Europa si consumava la guerra tra i paesi della ex Jugoslavia. Tre piccole storie in cui Rosella Postorino prova ad identificarsi anche se “la loro vita era stata spezzata dalla guerra, mentre la mia no”. Un tema molto caro alla scrittrice ritorna anche in questo libro, nella storia di questi tre ragazzi che non sanno che fine hanno fatto i loro genitori, che cercano di ricostruire la loro vita pezzo dopo pezzo. E’ l’assenza di Dio, il silenzio di qualcuno a cui tu parli ma non ti risponde, che manca di tenerezza quando sceglie di plasmare un’esistenza che prevede la morte e la guerra che ne consegue. La vita così come è strutturata contempla la presenza del dolore e della fine, un peso insopportabile per i personaggi del libro perché insopportabile per tutti gli esseri umani.
Un romanzo sensoriale scritto in terza persona, con un punto di vista interno che entra nella testa e nel corpo dei personaggi, proprio perché è quest’ultimo ad essere veramente trapassato dall’ingiustizia dell’esistenza. Così l’autrice, fa parlare una voce che illumina le singole vite e assolvendo al compito della letteratura, parla di questa come di altre categorie relegate nell’anonimato, i rifugiati, gli immigrati, gli emigrati, i terroni, protagonisti di questa storia e di altre già vissute e che ancora stiamo vivendo, restituendo loro umanità e unicità.
(Multi Cunti per Area Teatro - Catanzaro Centro)