Il 27 maggio il giovane regista, già vincitore del David di Donatello nel 2018, presenterà il suo primo lungometraggio dal titolo ‘Regina’ davanti al pubblico della sua città. Sarà una giornata all’insegna delle emozioni più autentiche per Alessandro Grande che nell’evoluzione del suo percorso professionale in giro per il mondo ha sempre continuato ad alimentare l’amore per la sua terra d’origine. Al punto da assegnarle un ruolo da protagonista nella sua opera prima. La Calabria è interprete, insieme a Francesco Montanari e alla rivelazione Ginevra Francesconi, di una storia intensa e drammatica che ruota attorno al rapporto tra un padre e una figlia costretti a fare i conti con un incidente che cambierà il corso delle loro vite e del loro rapporto. La Calabria di ‘Regina’ non è la regione costiera calda e solare che ci hanno sempre raccontato, ma è una Calabria montuosa, aspra, invernale, a tratti lugubre. Chiara l’intenzione del regista di non includere gli stereotipi della sua regione, ma di usare i paesaggi inediti in chiave metaforica. Il clima dei luoghi montani della Sila si evolve passo passo con i personaggi. All'inizio si intravede un sole non fortissimo, man mano che si entra nel dramma il clima si fa più rigido, così come l'animo di Regina e del padre.
‘Regina’, presentato alla 38esima edizione del Torino Film Festival, dove ha già spopolato per consensi e critiche positive, segna l’esordio al lungometraggio del talentuoso regista calabrese che in precedenza si era dedicato con successo al film breve: tre anni fa con ‘Bismillah’ era stato insignito del David e ancora prima l’opera intitolata ‘Margerita’ gli era valsa 78 premi nel mondo ed una nomination ai Nastri d'argento.
Alla vigilia dell’importante evento abbiamo raggiunto telefonicamente il regista Alessandro Grande che in maniera molto amichevole, complice la sua grande umiltà e semplicità, ci ha affidato emozioni e pensieri che abbiamo cercato di cristallizzare in questa intervista.
La proiezione del film “Regina” che segna il tuo debutto nella categoria dei lungometraggi sarà proiettato il 27 maggio in anteprima a Catanzaro che è la tua città natale. Una scelta beneaugurale?
“Una scelta innanzitutto morale: è giusto che il cinema possa ripartire ed è un onore che nella mia città possa farlo con il mio film. Non ho avuti dubbi e sono stato subito felice di questa iniziativa che dopo un periodo molto difficile riaprirà le porte del Cinema Teatro Comunale. Il film uscirà in maniera graduale a partire dal 27 maggio e sarà proiettato solo in alcune sale selezionate: in contemporanea dovrebbe uscire anche a Milano, e poi dalla settimana successiva dovrebbero aggiungersi Cosenza, Roma e altre città. Essendo un momento molto particolare riguardo la distribuzione, sono un po’ cambiate le dinamiche. Comunque sarà un percorso affascinante che durerà per tutta la bella stagione, con arene estive, festival”.
Molti artisti in passato, ad esempio il famoso Mimmo Rotella, hanno dichiarato di avere un rapporto conflittuale con la propria città perché non hanno trovato l’ambiente giusto per potersi esprimere. Tu come definiresti il tuo rapporto con Catanzaro?
“Armonioso, ed anche con i catanzaresi che mi hanno sempre sostenuto e continuano a farlo per cui devo dire soltanto grazie. E lo faccio con il cuore perché hanno risposto con tanto entusiasmo ad ogni mia iniziativa: dagli esordi e fino alla vittoria del David. Mi auguro facciano lo stesso in questa occasione. Anche se vivo a Roma sento un legame forte con la mia terra ed i miei conterranei. Ritengo che per crescere bisogna andare via sempre dal proprio territorio: non solo da Catanzaro, c’è gente anche che va via da grandi città per poi saper guardare quei posti con occhi diversi. In caso contrario rischi di appesantire la mente. C’è bisogno di evasione, di conoscere altri territori, di andare alla scoperta di nuove realtà conoscendone usi e costumi, di ottenere gli strumenti per un confronto costruttivo. Anche il mio percorso si è sviluppato in questa direzione”.
Una delle peculiarità di ‘Regina’ è la forte impronta calabrese che in questo film è evidente dal fatto che hai scelto di girare in luoghi della Calabria…
“Sì, ho girato al Lago Arvo, nella zona di Lorica, San Giovanni in Fiore, Lago Ampollino e a Catanzaro in un paio di locali”.
Che tipo di Calabria fai vedere nel tuo film?
“Ho cercato di raccontare una storia, mettendoci dentro sentimenti e sensibilità personali. Non è un lavoro costruito a tavolino per cercare di mostrare una Calabria diversa: è un film che racconta una storia molto delicata perché parla di conflitto generazionale e di senso di colpa da un punto di vista giovanile, in particolare da quello di una ragazza di 15 anni. Ho scelto di ambientarlo in un territorio montano, freddo e cupo proprio perché l’atmosfera, l’ambiente, il paesaggio e di conseguenza la fotografia contribuisce ad andare di pari passo con quelle che sono le vicissitudini dei protagonisti. Dico spesso che l’inizio del film è un raggio di sole che illumina i loro volti. Poi però, man mano che il rapporto diventa sempre più contrastato, il clima attorno si fa più rigido ed insostenibile. Quindi quel paesaggio mi ha aiutato a far entrare ancora di più lo spettatore dentro la storia. L’ho fatto prevalentemente per uno scopo drammaturgico, narrativo. Tuttavia, da calabrese avendo sempre combattuto contro gli stereotipi ho colto anche l’occasione per raccontare una Calabria che non tutti conoscono. Una Calabria montana, lontana dal sole e dal mare com’è invece vista da chi non la vive da vicino. Sono stato felice di aver trovato questo escamotage per raccontare una Calabria diversa”.
Il film porta avanti tematiche giovanili già da te sviscerate in precedenza. Possiamo dire che c’è una prosecuzione con i cortometraggi già visti?
“Sì, ho sempre cercato tematiche delicate, anche attuali e universali perché c’era bisogno di raccontarle. Concentrandomi però su un punto di vista diverso. Tra questo ‘lungo’ e 'Bismillah' si può in qualche modo rintracciare un filo conduttore per gli argomenti trattati. Con le dovute differenze perché nel corto precedente c’è la fratellanza, la speranza e l’emigrazione. In questa ultima opera invece c’è una bambina al centro della storia che deve prendere delle decisioni, portando sulle spalle un peso enorme rispetto alla sua età: ritrovandosi all’improvviso senza punti di riferimento e con un padre incapace di prendersi le proprie responsabilità. Di conseguenza non sa più quello che è giusto e ciò che è sbagliato, cominciando a perdersi. Quindi c’è una continuazione con quello che è il mio percorso, anche perché sono un autore che ha sempre scritto le proprie storie, indagando dentro di me e quindi rappresentando un mondo che fa parte del mio io. Poi può evolversi ma segue sempre una determinata sensibilità”.
È azzardato dire che il messaggio che arriva da questo film è che i giovani possano trasmettere qualcosa di positivo, degli insegnamenti, come fa la tua protagonista 15enne che si trova ad affrontare una situazione che sarebbe stata difficile anche per un adulto?
“Proprio così. C’è un esempio positivo da seguire, che parte da chi invece dovrebbe avere un esempio. Insomma quei figli che talvolta fungono loro stessi da guida per i propri genitori. Dai bambini tutti dovremmo imparare qualcosa”.
C’è qualcosa di autobiografico in Regina, questa ragazza che lotta per portare avanti il suo sogno per la musica?
“Diciamo di sì: io ho iniziato come musicista e cantante, quindi la musica ha sempre fatto parte del mio percorso artistico dall’inizio della carriera. Per cui ha una valenza fondamentale nei miei film, per esempio in 'Bismillah' era una canzone. In ‘Margerita’ invece, c’è la storia di un violinista che deve andare a rubare in un appartamento perché è rom. Quindi anche in questo caso ho portato con me un pezzo del mio più profondo io interiore”.
Credi che possa esserci un’arte avulsa dall’impegno sociale. Quindi un’arte fatta solo per intrattenere?
“Assolutamente sì. Il cinema è arte. Non è la leggerezza, la delicatezza, l’argomento che qualificano un film o un’opera d’arte come tale ma è come tutto questo viene realizzato. Per cui anche una pellicola di consumo, di intrattenimento può ugualmente essere un’opera d’arte, anche di più rispetto a quei film che puntano a suscitare delle riflessioni nello spettatore. Personalmente sento il bisogno in me di trattare, questo tipo di tematiche che a mio avviso al giorno d’oggi sono urgenti”.
C’è una figura di riferimento nella tua vita a livello artistico, una sorta di grande maestro a cui ispirarti?
“Non ne ho avuto uno. In realtà non ho mai voluto fare il regista, ma essendo un grandissimo appassionato di cinema è stata una strada che ho scoperto ed amato gradualmente. Mi sono avvicinato con grande rispetto a questo mestiere, perché per poterlo fare questo bisogna parlare un certo linguaggio. E quindi bisogna capire se si è in grado di raccontare storie attraverso immagini, perché si può avere la passione ma anche non essere capaci di portarla avanti. Dunque ho studiato, formandomi e sperimentando proprio sul campo delle storie raccontate attraverso immagini. Piano piano ho trovato quella sicurezza tale da poter poi esordire nel mondo dei grandi, del lungometraggio, anche se in realtà il cortometraggio è comunque un’espressione artistica degna di riconoscimento. Pertanto non ho seguito gli insegnamenti di uno o più maestri, mi sono lasciato guidare dalle emozioni di vari film. Serve ricercare nel passato per proporre qualcosa di apprezzabile nel nostro presente”.
C’è qualche commento sul film che ti ha emozionato?
“Ho avuto bellissime critiche, ed ovviamente anche qualcuna meno bella: però sono state talmente tante quelle positive che ognuna di loro è riuscita a cogliere aspetti interessanti del film. La soddisfazione più grande è sapere che il film arriva al pubblico. Il pubblico mi ha dimostrato tanto affetto perché il film a Torino doveva essere online per 48 ore, ma dopo 25 ore aveva già fatto registrare il sold out dei posti virtuali, l’unico di tutta la rassegna. È una grande gioia sapere che un lavoro partorito da te, che è stato sempre nella tua testa e realizzato con grandi difficoltà, è riuscito ad arrivare alla gente. Questa per me è la magia del cinema che non dobbiamo mai perdere”.
La crisi del cinema dovuta alla pandemia è nota a tutti. Quali sono state le tue difficoltà per portare a termine il tuo progetto?
“Mi sono trovato a combattere entrambe le ondate di pandemia. Avevo da poco finito le riprese e quindi ero entrato in post produzione quando è scoppiata il primo lock down. Quindi ci siamo ritrovati in casa con il lavoro incompleto. Si può immaginare la frustrazione per la preoccupazione di non riuscire a finire, si resta bloccati. In più vivevamo un periodo storico abbastanza delicato perché combattevamo con un qualcosa di sconosciuto. Quindi non c’era tranquillità. Poi siamo ritornati a lavorare gradualmente in estate e sono riuscito a terminare il film con grandissimi sacrifici. Abbiamo perso circa 4/5 mesi sulla tabella di marcia. Avevamo pianificato una classica uscita nelle sale che coincideva con la prima proiezione di Torino, cioè fine novembre. Invece è arrivato il secondo blocco e abbiamo dovuto rimandare tutto. Si capisce dunque come il film sia riuscito a sopravvivere a grandi intemperie, e adesso comincia un avvincente percorso nelle sale e nei festival dopo l’anteprima andata sulle piattaforme come ‘Sky Prima Fila’”.
Un’opera che ha già vinto una sfida importante e adesso merita gli applausi del grande pubblico!
(Rosita Mercatante per Area Teatro)