“Una regione simbolo di tutti i Sud del mondo. Così ho omaggiato Il Piccolo Principe”

Fare del proprio cinema un atto politico, salvaguardando una dimensione fortemente poetica, teatrale, quasi onirica. Succede nei film e nei docu-film di Luca Calvetta, che ha maturato la passione per la “settima arte” anche se lo studio lo ha portato alla laurea in Scienze politiche e ad un dottorato in Teoria politica alla Luiss. Per questo, oggi, il suo “Il mare nascosto” lancia messaggi, parla alle coscienze, fa riflettere sull’oggi. “Credo che nulla sia fuori dalla politica, intesa come visione del mondo, come relazione tra noi e l’altro. L’arte è inevitabilmente politica: quando si decide di mettere la telecamera in una certa posizione, quello che rimane fuori e quello che sta dentro all’inquadratura è una scelta politica” sottolinea l’autore, il cui sguardo sul mondo punta “a raccontare le cose sempre in modo poetico e politico, allo stesso tempo. E questo film, ‘Il mare nascosto’, racchiude entrambe le dimensioni. È il mio sguardo, non è artefatto” aggiunge.

Proprio l’ultimo lavoro di Calvetta, il suo primo lungometraggio, verrà proiettato l’1 agosto a Catanzaro, al Nuovo Supercinema, nell’ambito del Magna Graecia Film Festival.

“Il mare nascosto” è un film corale, liberamente ispirato al romanzo “Il Piccolo Principe” di Antonio de Saint-Exupery. E rende molto labile, per non dire indistinguibile, il confine tra fiction, teatro e documentario, tra realtà e immaginazione. Calvetta, spirito cosmopolita, è legato alla Calabria da questioni familiari, anche se è nato a Ginevra e poi lo studio e il lavoro l’hanno portato in giro per l’Europa, da Roma a Parigi, da Bruxelles ai Paesi scandinavi. Proprio la Calabria, girata in lungo e in largo, “per migliaia di chilometri”, alla ricerca di coste e scorci interni dove ambientare le scene, è la vera protagonista de “Il mare nascosto”, anche se nel racconto i dettagli restano volutamente celati.

“La Calabria, i luoghi e i personaggi non hanno un nome specifico. Volevo che non sembrasse una narrazione esclusivamente della regione, ma che la Calabria fosse il simbolo di tutti i Sud del mondo, che non sono una questione geografica ma prima ancora filosofica”.

Calvetta ha sempre dato grande centralità ai luoghi. Già nel suo lavoro precedente, il docufilm dal titolo “Il Paese interiore”, ispirato all’opera dell’antropologo calabrese Vito Teti, avevo compiuto una sorta di viaggio alla scoperta del territorio, anche alla luce dello sguardo di Teti. “Mi aveva permesso di scoprire una serie di luoghi, che io poi ho voluto rivedere, ci sono tornato per raccontarli in una forma più strutturata. Questo per dire quanto i luoghi siano per me i punti di partenza di tutta la narrazione”.

Il mare è ovviamente l’elemento centrale dell’opera. “Anche in questo caso, come per tutti gli elementi presenti nel film, c’è sempre su un doppio piano. Quello reale: il mare come cimitero assoluto, come il Mediterraneo in questo momento. E quello simbolico: metafora di un’interiorità che ciascuno di noi possiede, rappresenta tutto il sommerso, tutto ciò che nemmeno noi osiamo dire a noi stessi” racconta il regista. Il mare, sottolinea ancora il regista, “rappresenta le nostre ferite, le perdite, le macerie, che tutti portiamo dentro e con cui tutti dobbiamo fare i conti. Se non facciamo i conti con quel mare nascosto che ci portiamo dentro, fatto della nostra storia, delle nostre origini, delle perdite, è molto difficile poter andare avanti e accedere alla nostra identità più autentica”.

Ascanio Celestini, straordinario interprete, porta in “Il mare nascosto” la sua dirompente dimensione teatrale. E proprio a Celestini il regista affida una delle frasi del film che fanno più riflettere: “Il Sud non è un luogo ma è ovunque qualcosa si interrompe”, dice l’attore romano. “La Calabria deve diventare una metafora universale, così come i personaggi. Per me questo è anche un modo per ‘deprovincializzare’ questa terra” sottolinea Calvetta.

Un film con una connotazione politica non può che affrontare le ingiustizie dei nostri tempi, dare spazio alla categoria degli esclusi. “Quante persone, oggi nel mondo, possiamo dire che sono padrone della propria vita, che costruiscono liberamente la propria identità, che hanno strumenti simbolici, cognitivi, culturali per comprendersi nel contesto in cui sono nati, per liberarsi da questo e diventare sé stessi?” si chiede il regista. In questo senso, aggiunge, “va letto il percorso ispirato al Piccolo Principe, di un ragazzo che deve fare i conti con il proprio passato per cercare di accedere alla propria identità”.

A che condizioni e in che modo si accede alla propria individualità? “Questo è un tema molto forte, in particolar modo in una regione come la Calabria, in cui spesso prevale lo spirito comunitario su quello della libertà individuale, che viene sacrificata. Questo vale di più per le donne. Si sacrifica la libertà del singolo per una mal interpretata idea di comunità” aggiunge il regista. Nel film, in particolare attraverso varie figure che sono delle reinterpretazioni dei personaggi del Piccolo Principe, “cerco di raccontare figure che sono ancorate e radicate alla realtà calabrese (un carbonaio, un pastore) che però permettono di affrontare diversi temi che sono estremamente attuali. Il primo, e il principale per me, è quello dell’indipendenza delle donne, la questione di genere è centrale. Ad esempio, la figura interpretata da Anna Maria De Luca, affronta il tema della libertà delle donne di essere madri oppure no”.

A Calvetta, anche nella sua produzione, interessa dare voce agli ultimi, gli invisibili della storia, protagonisti assoluti del racconto. Nel film, il narratore ad un certo punto dice: ‘Io restituisco ai senza voce, parole che non hanno mai avuto’. Tutti dovrebbero avere gli strumenti materiali e simbolici per accedere alla propria libertà. Qualunque sia la condizione, l’origine familiare, regionale, religiosa” sottolinea il regista.

Ma che ruolo può svolgere l’arte, secondo Calvetta? “Deve tentare di far uscire dal quotidiano. Credo che sia inutile usufruire dell’arte per essere rassicurato nella dimensione quotidiana. Si può fare intrattenimento, ma non è questo il mio obiettivo. D’altra parte, aver fatto questo lavoro in maniera indipendente mi ha dato la massima libertà”. Il film è stato realizzato senza finanziamenti, in modo autonomo e autoprodotto, non senza difficoltà. “Con mezzi così esigui è stato faticoso, una lotta e una sfida quotidiana per trovare soluzioni a problemi di ogni genere. Ma è stato stimolante anche affrontare tutto questo” sottolinea il regista.

Attraverso una libera rilettura della favola “Il piccolo principe”, il film ci fa compiere un viaggio, sia fisico che interiore, attraverso luoghi misteriosi, personaggi inattesi, volti e lingue, facendosi riflettere sul potere salvifico dell’arte, sulla libertà di essere sé stessi e riappropriarsi del proprio futuro, sulle ingiustizie del nostro tempo. “Mi serviva un pretesto narrativo che mi permettesse di compiere un viaggio, che implicasse l’incontrare luoghi, storie, persone. In questo senso la favola si prestava molto bene. Secondo una lettura per certi versi “psicanalitica” de Il piccolo principe, possiamo descrivere la favola come la storia di un bambino che per varie ragioni non riuscirà, alla fine del suo viaggio, ad emanciparsi dal passato ed esprimere le potenzialità che custodisce dentro: ecco, la Calabria è una terra dalle mille risorse, sempre sul punto di nascere o rinascere, ma che sfortunatamente rimanda di continuo ad un tempo avvenire questa primavera” sottolinea Calvetta, che poi rivela: “Da un punto di vista personale, c’è un piccolo aneddoto che mi piace raccontare. Quando da bambino abitavo a Parigi, a sette anni, un giorno tornai a casa da scuola e dissi che volevo riscrivere “Il Piccolo Principe”. Poi la vita mi ha portato in mille posti, mi sono occupato di altro, ho fatto studi che non c’entrano con il cinema e con la letteratura… ma 35 anni dopo posso dire di aver mantenuto quella promessa”.

Rosita Mercatante per Area Teatro - Catanzaro Centro