In “Rapito”, con dettagli musicali e fotografici, quasi ispirati al neorealismo italiano, si può respirare la vera storia, anche grazie alla veridicità linguistica: dialetti e lingue religiose sono le prime accuratezze che riescono, da subito a inquadrare realisticamente la società dell’800.
Il regista Marco Bellocchio riesce a far sentire lo spettatore rapito, non solo dalle immagini create ma dal sistema educativo cattolico che è protagonista del terrore evocato nel film. Così ci si sente presenti in questa eterna contrapposizione, tra ebraismo e cattolicesimo, tra luce e ombra, bianco e nero, caos e ordine.
La fotografia è caratterizzata dal contrasto, quasi caravaggesco, tra luce e ombre, prodotto di un’atmosfera cupa, con inquadrature geometriche che accentuano ancora di più l’inquietudine. È questa ambientazione che trasporta dentro un limbo, non quello Dantesco, da cui la serva Anna vuole salvare Edgardo, ma quello esistenziale: il protagonista viene salvato dal limbo immaginario dell’ oltretomba per ritrovarsi in quello reale dell’esistenza.
Il film, così, viaggia tra due città, Bologna e Roma, tra due religioni, tra parallelismi di preghiere, ma soprattutto tra l’ordine dottrinale della Chiesa e il disordine popolare che la circonda.
Questo annullamento del pensiero, dell’identità e delle origini da parte di un’educazione religiosa che invita a non fare domande, a “sapere a memoria” ci sembra assurdo, disumano, ma il regista ci vuole far rendere conto che tuttora è presente. Questa critica alla Chiesa, all’insegnamento cattolico privo di coscienza, è il messaggio che Bellocchio, tramite il racconto della storia passata, rappresenta in un modo psicologicamente crudo. Il regista, però, riesce a non rendere il tutto troppo pesante o esageratamente spaventoso rappresentando al meglio l’animo bambino che è essenziale nella prima parte del film. Questa comicità tocca anche la religione in alcuni punti, Bellocchio è in grado di farci sorridere come dei bambini, in un contesto che è tutt’altro che felice. Forse è anche grazie a questa rappresentazione della purezza e dell’ ingenuità infantile che lo spettatore può comprendere al meglio la privazione di essa e il messaggio del film.
(Sara Iiritano per Area Teatro - Catanzaro Centro)