Abbiamo già analizzato brevemente, in un precedente post, il rapporto emotivo tra le sorti dei giallorossi e l’umore della Città, ma aldilà dei sentimenti diffusi e radicati è arduo capacitarsi della fedeltà e della tenacia che contraddistingue chi segue quotidianamente, e indipendentemente dalla categoria, le gesta sportive del Catanzaro.

Il concetto di resilienza, uno dei più utilizzati, diremmo abusati, degli ultimi anni, non è sufficiente; bisogna forse pensare ad un neologismo più vicino al termine letterario RESTANZA, recentemente analizzata come “Parola Nuova” dall’Accademia della Crusca e nato dal pensiero ostinato e poetico di Vito Teti per definire l’atteggiamento di chi, nonostante le difficoltà e sulla spinta del desiderio, resta nella propria terra d’origine, con intenti propositivi e iniziative di rinnovamento.

La tifoseria giallorossa si ritiene orgogliosamente superiore alle consorelle/rivali calabresi e di ciò ne ha sempre fatto un vessillo, anche e soprattutto nella lunga  e travagliata presenza nei campionati minori e nei campetti anonimi di squadre senza blasone.

Neanche le fortune di Reggina e Crotone, che hanno raggiunto l’Olimpo della Serie A ha scalfito questa convinzione, questo supposto “complesso di superiorità”.

E anche noi siamo convinti che non ci sia 

complesso, ma solo superiorità; e vi spieghiamo perché.

Il Catanzaro ha raggiunto la prima volta la Serie A nel 1971 ed ha avuto il suo massimo splendore fino ai primi anni ‘80.

La Reggina è stata promossa nella massima serie nel 1999.

Il Crotone (il cui bacino di tifosi era, e in parte è ancora, legato affettivamente al Catanzaro) ha coronato il suo sogno di entrare nel Calcio che conta nel 2016.

Basterebbero questi dati freddi per spiegare che il tifo catanzarese, a differenza delle altre compagini di supporter calabresi, ha raggiunto la propria massima espansione e la successiva maturità in un periodo in cui il Calcio in Italia è stato un fenomeno sportivo e sociale non inquinato da ipertrofie economiche e finanziarie e da una comunicazione massiva, invasiva e a tratti circense.

Un destino che può estendersi ad altri settori, essendo il Calcio, da sempre, una cartina di tornasole utile ad analizzare l’intera società italiana.

Un tifo che ha sviluppato un legame potente e inscindibile in un contesto permeato da credibilità e romanticismo epico e che viene perpetuato dai genitori ai figli in un passaggio generazionale di fede e valori, anche attraverso l’oralità tipica dei “cunti”, delle leggende.

Un concetto che Massimo Palanca spiega efficacemente quando, alla domanda su quale fosse la differenza tra il calcio dei suoi tempi e quello degli ultimi decenni, risponde: “di uguale è rimasta solo la forma del pallone, nemmeno il materiale, solo la forma”.

Praticamente a Catanzaro seguiamo un altro sport, uno sport che, in quella manifestazione d’essere, non esiste più.

E ogni Domenica allo Stadio cantiamo le gesta di eroi, i cui valori non solo sportivi non possono essere smentiti.

Chi non ha vissuto quell’epoca può ascoltarne l’eco, ma non può riprodurlo.